NEI DINTORNI
Oltre al Museo ed al Parco Archeologico dell'antica Grumentum nei dintorni della città di Grumento Nova è possibile visitare luoghi suggestivi, scorci naturalistici, attrattori turistici, religiosi ed enogastronomici.
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Armento è un piccolo borgo lucano che sorge a 710 m slm, di soli 580 abitanti. Sorgendo su un'altura, il paesaggio che lo circonda lascia davvero senza fiato, dalla parte più alta del Paese, ove primeggia la Chiesa di San Vitale, custode degli affreschi seicenteschi raffiguranti episodi di vita del Santo, si può ammirare, sullo sfondo del cielo, la catena montuosa del Pollino, e sotto l'altura il monastero di Santa Maria, cullato dal letto della Fiumara Armentese, ove fu combattuta la battaglia contro i Saraceni, vinta dal popolo armentese sotto la guida militare di San Luca a cavallo.
Il gioiello più prezioso di cui gli armentesi sono orgogliosi è la Corona di Kritonio, trovata durante una campagna di scavi abusivi nel 1814 presso il sito di Serra Lustrante. Per via delle varie vicissitudini storiche, questo prezioso reperto è oggi custodito nel Museo Statale di Monaco di Baviera. A Serra Lustrante, presso una sorgente alla confluenza di numerosi tratturi della transumanza è stato rinvenuto e scavato un sito archeologico di singolare importanza, da interpretarsi quale santuario e luogo di riunione e di aggregazione delle aristocrazie locali dei centri indigeni della media valle dell’Agri. L’area fu frequentata a partire dagli ultimi decenni del IV sec. a.C. come luogo di culto. Durante i primi decenni del III sec. a.C. il santuario, forse dedicato a Eracle, viene rifondato e monumentalizzato, impostato su due terrazze scenografiche, raccordate da una scalinata e divise da un muro a blocchi squadrati di arenaria, secondo modelli tipicamente ellenistici.
Da visitare è anche il bosco comunale, ricadente nell'Area Parco Appennino Lucano, sfocia su un dirupo con vista sulle Murge di Sant'Oronzo.
Contestualmente al graduale abbandono di Grumentum, si svilupparono i borghi d’altura che ancora oggi caratterizzano l’assetto urbano dell'Alta Val d’Agri, tra cui la medievale Saponaria (che poi cambiò nome in Grumento Nova).
Il centro merita di essere visitato per le peculiarità storico-architettoniche, per le bellezze paesaggistiche e per le eccellenze enogastronomiche. Una passeggiata tra i vicoli dà la possibilità di riscoprire numerose testimonianze materiali provenienti dalla città romana (iscrizioni, statue, frammenti architettonici…). Nei pressi della Chiesa Madre, si collocano i resti di un tempio romano, tradizionalmente attribuito a Serapis.
Il percorso attraverso la storia continua con la visita di chiese (degna di nota la Chiesa del Rosario, con un paliotto ligneo di scuola napoletana), di palazzi gentilizi e del Castello Sanseverino. Quest’ultimo rappresenta probabilmente il primo nucleo fortificato attorno al quale si sviluppò in età normanna l’abitato. Ricostruito dai Sanseverino nel Seicento, il castello ospitava opere d’arte e apparati decorativi di gran lusso e fu dimora di Aurora Sanseverino, poetessa dell’Arcadia, originaria di Saponaria. Dopo il sisma del 1857 del Castello si è conservato solo il salone di corte, dove oggi è possibile ammirare affreschi e stucchi di pregio. Merita una sosta anche il Palazzo Danio-Giliberti, sede della Biblioteca Storica di Grumento Nova, presso la quale sono conservati oltre 2000 testi antichi, con pergamene, incunaboli e cinquecentine.
La posizione di Grumento Nova a dominio della valle, attraversata dal fiume Agri e dai torrenti Sciaura e Maglia, fa apprezzare il profondo connubio tra natura e presenze umane: dai belvederi del centro storico si può apprezzare un contesto d’eccezione, con la città romana in primo piano, il Lago di Pietra del Pertusillo, la catena dell'Appennino Lucano. Se il paesaggio archeologico di Grumentum rappresenta un unicum, il territorio di Grumento Nova è ricco anche di bellezze naturalistiche, nel bosco secolare di Maglia, lungo le rive del Lago. Il paesaggio agrario di Grumento si caratterizza per i numerosi monumenti che ricordano le tradizioni sacre e le produzioni agricole (santuari rurali, mulini…), dove la natura si intreccia con la storia.
Il centro storico è collocato sopra tre colline di altezza diversa. La Civita, sede della città antica, racchiusa da avanzi di torri e mura, che comprende la Cattedrale, la chiesa di San Michele ora Museo di Arte Sacra, la chiesa di San Gianuario e il palazzo Barrese. Il Portello che comprende le chiese di San Marco, Santo Spirito e San Rocco e il Palazzo Pignatelli. Il Casale costituitosi intorno al Monastero di San Tommaso Martire (oggi sede del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese) che comprende la chiesa del Carmine e i palazzi Navarra e Blasi.
L’area dell’attuale abitato di Marsico Nuovo (PZ), è stata frequentata con continuità a partire dall’età del ferro (IX e VIII sec. a.C.). A partire dal IX sec. i Longobardi con il principe Gisulfo I, intorno al 943, la elevano a rango di Contea e, contemporaneamente il centro diventa sede della Diocesi Marsicense a cui viene dato il titolo di “Civitas” divenendo centro di riferimento politico e religioso di un vasto territorio. Nell’XI sec. all’arrivo dei primi Normanni, la Contea comprende numerosi feudi nel Vallo di Diano e nel basso Cilento. Marsico è un borgo fortificato con l’abitato chiuso da possenti mura di cinta, il castello e la cattedrale. Mentre la Diocesi ha esteso la sua giurisdizione su sette paesi limitrofi, sarà retta da una serie ininterrotta di 63 vescovi. Nel 1150 vi troviamo conte Silvestro d’Altavilla, nipote del re normanno Ruggero II e poi consigliere del re Guglielmo I il Malo. Nel 1230, vi troviamo i potenti signori di Sanseverino, tra cui Ruggero (marito di Teodora, sorella di San Tommaso D’Aquino), Tommaso II (fondatore della splendida Certosa di Padula). Nel 1552 diventa “Città Regia”, nel 1638 la città è condotta dai principi Pignatelli. Il ricchissimo patrimonio architettonico composto da chiese e monasteri medievali, oltre che da artistici palazzi gentilizi, resta a testimoniare il suo rango di “antica e nobile città”.
La vasta entità della superficie a verde comprende il Parco Fontana della Brecce attrezzato con panchine, area pic-nic, due rifugi e tre sorgenti, il Parco Piana del Lago attrezzato con area pic-nic e cinque fontane approvvigionate dalla sorgente Fontana dei Cervi, le Grotte di Castel di Lepre della lunghezza di 1800 mt. percorribili solo da appassionati ed esperti speleologi, il percorso naturalistico Cascate di Vallone Melaggine, il castagno secolare di Campo Rotondo, la falesia di Pietra Maura, adatta all’arrampicata e non solo.
Lo storico greco Strabone, vissuto tra il I sec. a.C. e il I d.C., nel VI libro della Geografia descrive la Lucania e nomina Vertina, tra i piccoli luoghi abitati dell'entroterra, che qualcuno ha voluto individuare con l'antica civitas ubicata sul Tuppo di San Nicola nel comune di Marsicovetere per l'assonanza “Vertina - Vetere”. I resti della civitas di Tuppo San Nicola presentano però, le caratteristiche di città fortificata tipicamente medievale, databile quindi ad un periodo non precedente al IX sec. d.C. Non è da escludere, comunque, una frequentazione dell'area in un periodo precedente. Recenti ricerche archeologiche, infatti attestano che il versante sinistro dell'Alta Val d'Agri è stato occupato dalla Preistoria fino all'alto Medioevo con l'alternarsi di diversi periodi di abbandono e di ripopolamento dei luoghi. Le ultime campagne di scavo hanno portato alla luce i resti di un'imponente villa romana in località Barricelle appartenuta alla famiglia dei Brutti Praesentes, di cui faceva parte l'imperatrice romana Bruttia Crispina, moglie dell'imperatore Commodo (180-192). La villa fu costruita alla fine del II sec. a.C. alle pendici di Tuppo San Nicola lungo le sponde del torrente Molinara, affluente dell'Agri, in un'area la cui frequentazione risale al IV sec. a.C. Dopo una serie di interventi di ricostruzione dovuti a due terremoti, la villa ha continuato ad essere abitata fino al IV sec. d.C. L'abitazione è caratterizzata da una pars rustica e un’area residenziale dove la famiglia proprietaria si dedicava all'otiumIn seguito alla distruzione di Grumentum (878) ad opera dei Saraceni, gli abitanti dell'area si rifugiarono sullo sperone roccioso a 1037 m slm dando origine all'attuale abitato che conserva ancora oggi le caratteristiche tipiche dell'impianto medioevale. Con l'avvento dei Normanni il borgo fu fortificato con castello e mura e il suo primo feudatario è stato nel 1135 Adamo de Avenella. Successivamente esso fu assegnato a tale Goffredo, il cui figlio Alessandro, nel Maggio del 1151, donò ai Monaci di Cava, dopo essersi insediato nella vicina Tramutola, la chiesa di S. Giovanni di Marsicovetere. La Chiesa, distrutta probabilmente dal terremoto del 1857 e mai più ricostruita, si trova sotto il castello e fu ceduta con tutti i suoi beni e i diritti annessi, tra cui la concessione dell'acqua per costruire un mulino.
Nell'incipit di un documento del 1088 si legge "Bartholomeus de Castello Marsici veteris Dominus (...)" testimonianza che accerta la presenza di un castello, nell’XI secolo, intorno al quale si sviluppa il piccolo borgo medioevale difeso da una cinta muraria e, inoltre, conferma che in centro si chiama già Marsicovetere. Il nome deriverebbe dai Marsi, popolo italico proveniente dal bacino del Lago Fucino nella Marsica, in Abruzzo, che si spinsero fino in Lucania.
Un evento importante per la storia di Marsicovetere fu l'arrivo, nel 1334, di Angelo Clareno, un francescano dissidente che si rifugiò nel convento di Santa Maria dell'Aspro i cui ruderi sono ancora visibili. Clareno era uno dei maggiori rappresentanti dei Fraticelli (o fratelli della vita povera) che furono perseguitati da Papa Giovanni XXII e, per questo, si rifugiò a Marsicovetere. La sua permanenza nel piccolo borgo, fino all'anno della sua morte avvenuta il 15 giugno del 1337, determinò un momento significativo per la vita religiosa della comunità poiché si creò un attivo pellegrinaggio al piccolo convento per ascoltare la parola del frate. La dottrina, basata sulla spiritualità, predicava il rinnovamento della vita in attesa dell'apocalisse e, secondo alcune fonti, Clareno compì anche alcuni prodigi conservati in un manoscritto del titolo Miracula.
In età moderna, il 28 dicembre 1498, il feudo di Marsicovetere fu donato da Re Federico D'Aragona a Giovanni Caracciolo, nominato Principe di Marsicovetere. I Caracciolo tennero il feudo fino al 1777 (interrotti per un breve periodo nell'anno 1627 dai Di Palma) ed edificarono un palazzo e una masseria rurale con un vigneto nella contrada Pedali. In questi anni il borgo ebbe un grande incremento demografico, urbanistico e culturale. L'ultima erede dei Caracciolo, Laura, vendette il feudo a Bernardo Brussone nel 1778 ma, nello stesso anno, le altre famiglie borghesi proclamarono Marsicovetere Città Regia chiedendo di riconoscerla come appartenete al Regio Demanio, richiesta che fu accolta qualche anno dopo.
Nel 1857 il violento terremoto, che interessò gran parte della Basilicata, colpì anche Marsicovetere distruggendo completamente molti edifici e in parte anche il Convento di Santa Maria dell'Aspro. Dopo l'Unità d'Italia (1861) anche Marsicovetere fu interessato, come molti altri centri del meridione, dal diffondersi del brigantaggio. In particolare si ricorda la brigantessa Maria Rosa Marinelli, contadina di Marsicovetere, che divenne l'amante di Angelantonio Masini, capobanda lucano. Dopo la morte del suo compagno durante un conflitto a fuoco a Padula, Maria Rosa si costituì e, nel 1864, fu condannata a quattro anni di reclusione per "associazione di malfattori, estorsione, sequestro di persona, lesioni".
Nel Novecento ci fu una riprogettazione del territorio, e ruolo fondamentale ebbe l'agronomo lombardo Eugenio Azimonti, direttore della Cattedra di Potenza, che intervenne sulla vicenda dell'istituzione della sezione distaccata del Consorzio in Val d'agri. Lo stesso Azimonti avviò un'azienda, moderna e innovativa, nella tenuta "Palazzo" in contrada Pedali di Marsicovetere che sfruttava le acque della Peschiera. Un altro aspetto, inoltre, contribuì all'incremento della produzione agricola della Val d'Agri: l'immigrazione delle famiglie marchigiane e toscane. Nel 1912, infatti, venne approvato il provvedimento che consentiva l'uso della mezzadria affidando i fondi della proprietà prima solo ad alcune famiglie locali, poi estendendola anche a famiglie di altre regioni. Tale provvedimento favorì una vera e propria colonizzazione dell'area che divenne il fulcro dell'attività agricola della Val d'Agri. Dal quel momento la frazione di Pedali, che cambiò il nome in Villa d'Agri di Marsicovetere con delibera municipale n 4 del 18 gennaio 1955 e conseguente Decreto del Presidente della Repubblica del 13 gennaio 1957, è il centro dell'economia del comune di Marsicovetere ed è il luogo di riferimento per la maggior parte dei comuni limitrofi in quanto offre servizi e strutture, di imprese e del settore terziario, altrove inesistenti.
È facile, una volta giunti a Moliterno, perdersi tra castelli, architetture feudali, musei, boschi di faggi e tra i fragranti profumi del suo famoso formaggio Canestrato e degli altri prodotti tipici. Quello che orgogliosamente i suoi abitanti chiamano “il paesone” è un affascinante comune dell’Alta Val d’Agri, compreso nel territorio del più giovane dei parchi italiani (il Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese) e inserito nei “Borghi Autentici d’Italia” in virtù del suo centro storico di impianto medievale. Dinastie normanne, sveve, angioine e aragonesi ne hanno segnato le dominazioni.
Il castello e il borgo medioevale ne costituiscono di certo l’attrattiva predominante. Proprio intorno al castello normanno, di cui sono ancora visibili le mura di cinta e le due torri cilindriche merlate, si è sviluppato il resto del centro abitato, puntellato qua e là da imponenti palazzi nobiliari, come il Palazzo Mobilio-Giampietro costruito nel ‘500 dai padri Domenicani, e il Palazzo Lo Vito, che nel 1902 ospitò l’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Zanardelli. Il Museo Civico d’Arte Sacra, originariamente era la Chiesa di San Pietro, da alcuni anni è stata sconsacrata ed al suo interno sono esposti alcuni dei manufatti artistici più rappresentativi della cultura locale, provenienti dalle diverse chiese di Moliterno.
Un’attenzione particolare è dedicata da Moliterno all’arte: sette sono i musei che danno vita al MAM, un circuito museale in cui è stata sistemata e resa fruibile al pubblico l’ampia collezione di beni artistici del Prof. Gianfranco Aiello. Tra di essi vi è la Casa Museo Domenico Aiello, in cui sono esposti capolavori dei massimi pittori lucani dell’800. Il MAM Musei Aiello Moliterno è iscritto all’Associazione Nazionale delle Case della Memoria e fa parte anche della rete ACAMM, il Sistema dei Musei e dei Beni Culturali di Aliano (MT), Castronuovo di Sant’Andrea (PZ), Moliterno (PZ) e Montemurro (PZ). ACAMM mette insieme le energie dei quattro comuni lucani attraverso il lavoro sinergico dei presidi culturali presenti nei propri territori.
Moliterno è poi conosciuta in tutta Italia per il suo rinomato Pecorino Canestrato I.G.P., un formaggio dal tipico sapore piccante e aromatico donatogli dalla stagionatura unica e caratteristica dei fòndaci moliternesi. Da non perdere in agosto la “Sagra del Canestrato di Moliterno”.
Il borgo è immerso nella natura rigogliosa propria dell’area della Val d’Agri. Notevole è il Bosco Faggeto, per gli immensi alberi che vi ospita e per la varietà di specie animali che ne popolano il sottobosco. Un’oasi naturale percorribile attraverso una serie di sentieri tematici, accompagnati da guide specializzate.
Montemurro sorge su un’altura a 723 metri slm ed è parte dell’Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese. Il suo è un territorio ricco di biodiversità che offre varietà di paesaggi e di colori grazie alla diversificata orografia che passa dai 532 metri s.l.m. del lago Pietra del Pertusillo fino a sfiorare i 1.300 del monte Santo Jaso, sede del Santuario della Madonna di Servigliano. Vegetazione spontanea unita alle colture di sempre quali olivo, vite, grano, frutta impreziosiscono un luogo ricco di acque sorgive e di ruscelli, ideale per la transumanza di cui sono tutt’ora visibili i segni dei tratturi.
Montemurro vanta una importante tradizione artistico-letteraria. La Casa delle Muse di Sinisgalli è la sede della Fondazione Leonardo Sinisgalli. Nella struttura è possibile visitare la “Sala degli amici artisti” (con disegni e acquerelli), “Il focolare degli affetti” (con testi memoriali e poetici, fotografie, oggetti vari e utensili), la “Sala Leonardo” (con l’esposizione dei 70 volumi originali e rari, oltre alle copertine delle riviste aziendali), la “Biblioteca di Sinisgalli” (con i suoi 4.000 libri, la macchina da scrivere, il ritratto ad olio di Maria Padula, le pubblicità e i disegni), la Sala “Vincenzo Sinisgalli” (dedicata alle mostre temporanee).
A Montemurro è attiva la Scuola del Graffito Polistrato di Montemurro nata nel 2003 da un’intuizione del compianto artista Giuseppe Antonello Leone, che ideò una tecnica con l’utilizzo di materiali che sapientemente composti ed impastati producono malte colorate, che poi graffiate danno origine ad un graffito pittorico che con il tempo diventa materiale duro quasi pietrificato. A partire dal 2010, nell’ultima decade di agosto, affermati artisti nazionali e internazionali, vengono a Montemurro e realizzano il proprio graffito che viene donato alla comunità ed affisso lungo i muri dell’abitato con l’intento di realizzare un museo a cielo aperto.
L’ausilio delle nuove tecnologie permette di vedere in modo del tutto originale le opere della pittrice Maria Padula. ita il progetto “I luoghi della pittrice” allo scopo di promuoverne l’arte in un modo del tutto originale. Nell’ambito del progetto “I luoghi della pittrice”, quattordici mattonelle bianche dislocate in altrettanti posti di Montemurro segnalano l’esatta posizione dove la pittrice poggiava il suo cavalletto dipingendo scorci di paese per lei particolarmente significativi. Il QR Code sovraimpresso permette di visionare il dipinto sul display del cellulare o del tablet, consentendo la comparazione della realtà come era e come è adesso.
Nell’ex convento di San Domenico in piazza Giacinto Albini si possono vedere le riproduzioni fotografiche delle opere dei pittori Carlo Sellitto, Gian Giacomo e Anna Maria Manecchia vissuti tra il ‘500 e il ‘600, originari di Montemurro ma attivi artisticamente a Napoli.
Montemurro vanta una tradizione olivicola antichissima. Il suo territorio collinare offre un habitat ideale per le piante di ulivo che qui crescono nella variante sammartenegna, ugliarola, ogliastro, pendolino, uccellara e carpinigno. In passato tanti erano i frantoi presenti fuori e dentro il paese, ma oggi ne restano ben pochi. Il frantoio Dimase situato alle spalle di piazza G. Albini, ha conservato una pressa in pietra e un tornio a legno risalente al 1600. Si trovava all’inizio di quella un tempo detta la “via dei mulini”, che si estendeva lungo contrada Fondoni in prossimità di un torrente di cui sfruttavano la forza dell’acqua. Gli altri due sono il frantoio Carrazza, lungo corso Regina Elena e Lacorazza in via Sinisgalli.
Paterno è un Comune, in apparenza, di giovane formazione, essendo stato frazione di Marsico Nuovo fino al 1973, anno in cui ottenne la sua autonomia municipale. Conquistò la sua ambita autonomia dopo che, nel 1972, il popolo intraprese una dura lotta. Tuttavia il Comune ha, come centro valligiano, antica derivazione, anche se storiograficamente non trova una precisa collocazione. Difatti contrastanti svariate sono le ipotesi, avanzate da diversi storici, circa la nascita e datazione in quadro storico definito, così come contrastanti sono le derivazioni del suo eponimo. Vi è chi lo vuole far discendere da “Paternicum”, “l’asse ereditario dei padri”; chi lo vuol far derivare da “Paternus”, nome del Patrizio di Cosilinum (città romana, in prossimità di Grumentum, la cui allocazione molti storici individuano nei pressi della locale “Civita”); chi dal termine latino “patere”, “pianura estesa sotto” la sua porta alla Valle dell’Agri, “Ianne”, da “Ianua”, appunto dal latino “porta”. Secondo i più al termine “patere” viene dato il suffisso eponomico “anus”, poi “enus”, che, in epoca latina, serviva a formare un nome di podere a deduzione di colonizzazione romana.
Paterno presenta un territorio, posto a una altezza media di 640 mt s.l.m., che rappresenta un caposaldo ben interrelato nevralgicamente all’interno dell’intera Val d’Agri, con la sua vasta pianura contermine con Tramutola, Marsicovetere e Marsico Nuovo e con la sua catena collinare a ridosso col Vallo di Diano, col quale è agevolmente collegato da un’arteria interprovinciale Paterno-Padula. Tra i punti di maggiore richiamo e interesse troviamo: la Chiesa Madre o Matrice, la cui parte più antica, coincidente con l’attuale abside, fu realizzata con contributi in danaro, materiali e gratuita fornitura di manodopera specializzata e non di cittadini intorno al 1742; il Parco fluviale dell’Agri, che, oggi, rappresenta autentico esempio di valorizzazione delle suscettività di caratterizzazione paesaggistico-naturale; la Sorgente “Sorgitora”, con l’Acquedotto dell’Agri che conserva intatti i tratti tipici distintivi del Regime fascista, epoca che fece registrare appunto giganteschi lavori di captazione e adduzione delle rilevanti acque delle Sorgenti dell’Agri.
San Chirico Raparo è situato a 780 m slm nel cuore del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val d'Agri Lagonegrese. Ricco di storia e cultura, è possibile visitare il centro e l'annesso patrimonio naturalistico attraverso escursioni trekking organizzate o grazie al parco bici della stazione di bike sharing.
Il centro storico di San Chirico è caratteristico, con numerosi luoghi da visitare, dall’imponente duomo parrocchiale, alle sue bellezze e ricchezze culturali, ai bellissimi scorci antichi. Il Duomo conserva un patrimonio inestimabile: alcune opere come il crocifisso, il polittico e altri manufatti del Cinquecento provengono dall'Abbazia.
Torre San Vito è un’antica torre d'avvistamento a supporto del Castello situato al centro del paese. Attualmente è il punto panoramico del borgo, con visuale mozzafiato. Inoltre l'area è stata adibita ad Oasi del Relax, con una piscina all'aperto e un'area Camper.
L'abbazia di Sant'Angelo al Monte Raparo, è uno dei più importanti esempi di insediamento monastico del Sud Italia, risalente al X secolo, fondato da un gruppo di monaci basiliani. Si possono apprezzare residui di affreschi e la bellissima grotta che si trova al di sotto e che fu il luogo del primo insediamento dei monaci. Interamente restaurata a brevissimo sarà fruibile e sarà possibile godere della sua bellezza e della sua storia.
La storia del borgo di “Casale Sancti Martini”, odierna San Martino D'Agri, è millenaria ed i reperti del IV secolo a.C. lo dimostrano. Il centro abitato, ubicato nell'entroterra lucano, ha origini altomedioevali ed in questa fase storica la sua formazione è in stretto rapporto con lo spopolamento e la ridistribuzione del territorio della media ed alta valle dell'Agri della popolazione insediata nella città romana di Grumentum distrutta e spopolata nel sec. X.
Arroccato a scopo difensivo su una sommità orografica da cui era facile controllare la viabilità e le direttrici di penetrazione verso il sistema del Monte Raparo costituite essenzialmente dalla rete idrografica convergente verso l'importante affluente dell'Agri, il torrente Trigella, l'insediamento demico sviluppa una notevole importanza, dominando la valle e le Murge di Sant'Oronzo, porte del Parco Nazionale in cui è inserito.
Nel medioevo il borgo condivide le vicende storiche dell'area ed è attestato quale feudo dei Sanseverino di Bisignano prima e dei Sifola di Trani poi. In fase tardo medioevale e durante il secolo XVI il borgo conosce un significativo incremento demografico che è alla base dell'ampliamento dell'abitato e delle origini della nascita e dello sviluppo dei nuclei extramoenia finalizzati al colonizzare i territori montani. Proprio in questa fase di sviluppo è fondata la comunità dei Frati Minori Osservanti ed è costruito un mirabile esempio della sua arte, il Convento di Sant'Antonio (1512) che, eretto in adiacenza al perimetro della cinta urbana, ospita la comunità religiosa. Detto convento, attualmente di proprietà comunale e vincolato ai sensi dell'art. 10 del D.Lgs. 42/2004, è l'emblema dell'importanza storica ed artistica del borgo. Al suo interno è conservato un meraviglioso chiostro affrescato nel 1743 da Pietro di Giampietro da Brienza in cui sono raffigurate le scene della vita di San Francesco, Santa Chiara, Sant'Antonio, unitamente ad elementi naturalistici e d’effigi di santi, papi, frati dell'ordine, compresi un frate Angiolo da San Martino. Al suo interno, attualmente, è allestito in MINT – Museo Interattivo Natura e Territorio che, attraverso la moderna tecnologia, connette il passato con il presente, il contenitore ed il territorio, ed è in fase di completamento l'iter per l'apertura al pubblico dello stesso (fondi P.O. FESR Basilicata 2014-2020). Il convento è adiacente alla chiesa di San Francesco, a navata unica con nicchie laterali, restaurata nel 1712 che conserva lo stile dell'epoca, mirabili tele e statue nonché uno straordinario coro ligneo del 1714. Il territorio circostante il borgo è caratterizzato dalla natura selvaggia, autentica, tanto da poter essere identificato quale “città natura” in cui esiste simbiosi tra la natura e l'opera dell'uomo antico che ha lasciato vestigia anche nella costruzione di mulini e gualchiera lungo il corso del torrente Trigella alla cui foce è stato costruito nel sec XI il monastero basiliano di Sant'Angelo al Raparo.
Il borgo, conservando il suo impianto architettonico con il Palazzo Baronale, che lo sovrasta e la chiesa matrice (distrutta dal terremoto del 1857) che ad esso si oppone, esprime tutto il fascino del borgo arroccato, quasi addormentato sul crinale. Posto sulla sommità del borgo di San Martino d’Agri (PZ), il Palazzo Sifola presenta un interesse culturale riconosciuto, ai sensi del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, con Decreto della direzione regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici n. 107 del 15 aprile 2008. Edificato intorno al XVI secolo, e con facciata prospiciente sulla Chiesa Madre di San Lorenzo, l’edificio appartenne ai potenti Principi Sanseverino di Bisignano che lo cedettero nel 1565 ai Sifola di Trani i quali lo tennero fino al 1806, anno di fine della feudalità. Attualmente, le varie unità immobiliari sono di proprietà private e, nel corso dei secoli, il palazzo ha subito vari rimaneggiamenti che ne hanno determinato il carattere architettonico attuale.
L'imponente palazzo del XVIII, appartenente alla casata dei De Pierro, domina la "parte destra" dell'abitato. L'impianto ha conservato i caratteri originari nonostante vari rimaneggiamenti occorsi. Mirabile è il portale in marmo con trabeazione e paraste scanalate che incornicia il portone in castagno. In questo quadro, caratterizzato da elementi paesaggistici, ambientali, architettonici importanti da valorizzare, le emergenze culturali sono rappresentate anche da figure di poeti (Teresina De Pierro 1859-1939) e pittori la cui importanza è un fatto riconosciuto (Vincenzo Marinelli 1819-1892). San Martino D'Agri è individuato quale “comune di prossimità” dell'attrattore strategico del PON Cultura e Sviluppo 2014-2020 “Museo archeologico nazionale della Val d'Agri, Teatro Romano di Grumento Nova”.
La quasi totalità del territorio comunale fa parte del Parco Nazionale Appennino Lucano Val d'Agri Lagonegrese, lo stesso centro storico si trova anche all'interno dell'area ZPS – Appennino Lucano, Valle Agri, Monte Sirino, Monte Raparo ed è riconosciuto il valore naturalistico alla Foresta Regionale S. Giovanni che definisce il limite urbano/natura. Posto a 1288 m s.l.m. il Monte Raparello costituisce un importante e fascinoso punto di osservazione sulla valle dell'Agri. Territorio calcareo, brullo (il nome Raparo viene da "rapato", spoglio) sulla sommità sorge la cappella della Madonna della Rupe edificata nel 1908 con i fondi degli emigranti nelle Americhe a devozione della statua ritrovata agli inizi nel 1800 da un pastorello sordomuto Mario Conte, in una grotta. Il ritrovamento fece gridare al miracolo in quanto il bambino riacquistò i sensi perduti. È luogo di pellegrinaggio: la tradizione vuole l'ascesa al monte della statua della Vergine l'ultima domenica di maggio e la discesa al borgo il 19 agosto.
Luogo di grande suggestione e fascino è la gola scavata dal fiume Agri che, nei millenni, ha eroso la calcarenite delle montagne plasmando il paesaggio. Località "Crepacuore", nome evocativo della fatica occorrente per raggiungere "gli orti di San Martino d'Agri". Per secoli il fiume, la terra delle Murge hanno sfamato la popolazione! Ma anche luogo impervio ed accessibile solo ai briganti! Ormai è leggenda il brigante Giovanni D'Aquaro, detto Mastrorazio, braccato dalla guardia nazionale e dal Capitano Romano.
Le origini del centro abitato di Sarconi sono molto antiche, essendo legate alla colonia romana diGrumentum, della quale probabilmente fu sobborgo. Il toponimo deriverebbe dal latino "sarculum" (luogo pieno di macchia e aperto a coltura), o dal greco "sarkos" (carne, luogo di carneficina). Secondo quest’ultima ipotesi, qui sarebbero sepolti i caduti di una sanguinosa battaglia tra Romani e Cartaginesi (III sec. a. C.). Lo stretto legame tra Sarconi e Grumentum è dimostrato anche dai resti di un acquedotto che univa i due centri. È il piccolo centro storico di Sarconi, dove i portali in pietra si sposano con i balconi in ferro battuto, a offrire gradevoli sorprese al visitatore.
All'interno del centro storico ritroviamo Piazza San Giacomo, "a Chiazzodda", che anticamente era il centro popolare del paese e che fu sede del Convento di San Filippo e dell'antica Chiesa di San Jacopo, oggi inesistente a causa del terremoto del 1857. Piazza San Giacomo ospitava, inoltre, le aule della scuola e il vecchio Municipio. Ad oggi è riconosciuto come il luogo dell'infanzia e del gioco, come testimonia la statua lì collocata raffigurante un bambino con in braccio una gallina in onore di tutti i bambini sarconesi.
L'antica Chiesa Madre di Santa Maria in Cielo Assunta, costruita su un tempio rinascimentale già esistente, fu ricostruita alla fine del '800 dopo il catastrofico terremoto del '57 che colpì la Val d'Agri. Al suo interno presenta cornicioni, lesene e decorazioni in finto marmo, che richiamano l'architettura del Settecento napoletano, e custodisce una tela della Madonna col Bambino oltre a suggestive statue.
L'Acquedotto Cavour è un imponente e maestoso complesso costruito nel 1867 in stile romano, dotato di un doppio canale per l'irrigazione. L'opera, sotto il profilo storico-tecnologico, rappresenta una delle più antiche testimonianze di ingegneria idraulica della Val d’Agri, di cui oggi è ancora possibile ammirare parte della struttura architettonica. Fu realizzata a scopo irriguo, con un impianto posto su arcate in muratura di pietra e mattoni. Per molti anni, l’acquedotto ha portato l’acqua nei terreni compresi nell'agro di Sarconi e Moliterno, subendo poi nel tempo diversi interventi di ristrutturazione. Il canale di irrigazione, alto sul suolo in una serie di archi in muratura continui e armoniosi, terminanti in splendidi giardini, entrò dunque a far parte del panorama di Sarconi. Ancora oggi è possibile ammirarne un piccolo tratto sopravvissuto all’abbandono, i cui ruderi, protetti da interventi di conservazione, bastano a trasmettere il ricordo dell'opera e l'importanza per l'epoca dell’iniziativa. Oggi in molti tratti l’acquedotto è associato a un suggestivo percorso pedonale, contornato da ampie vedute panoramiche che rivelano una natura originaria e quasi incontaminata, ed è così in grado di portare il visitatore a diretto contatto con il paesaggio agricolo tipico della zona. Ad oggi rimane il simbolo di un tributo all'acqua, alla terra, alle coltivazioni e alle attese contadine.
Nei pressi del Parco Fluviale "Baden Powell" troviamo il Ponte Vecchio, il quale fu costruito nel 1583 dai Carafa, Principi di Stigliano e padroni del feudo. Il ponte permetteva di scavalcare le acque del fiume Maglia per dirigersi oltre il Monte Difesa. Esso è definito "vecchio" dai sarconesi perché ne fu costruito uno alla fine del 1800 sul lato opposto della collina.
Spinoso si trova su di una collina a quota 640 m slm da cui si gode di una visuale a 360 gradi della parte alta della Val d'Agri. La struttura più antica fin'ora individuata è il campanile della Chiesa Madre che vede la sua prima edificazione durante il periodo normanno, a cavallo tra i secoli XI e XII. Ciò nonostante, data la sua posizione strategica, e dato il fatto che si trovava lungo il tratto della via Herculia che da Grumentum conduceva a Siris – Heraklea, non è da escludere una sua origine più antica.
Ne furono signori i Minutolo dei quali si conserva la rocca rinascimentale, modificata nei secoli per fungere da palazzo signorile, posizionata di fianco alla chiesa madre. Dal punto di vista naturalistico spicca la presenza del Lago di Pietra del Pertusillo che attrae specie aviarie stanziali e migratorie e il monte Raparo con i suoi boschi di castagno e faggio che dà rifugio, tra gli altri, all’animale simbolo d’Italia, il Lupo Grigio, e al “Fantasma dei Boschi”, il Gatto Selvatico Europeo.
Inoltre a ulteriore riprova della ricchezza del patrimonio naturalistico giova ricordare che si tratta dell’unico comune ad avere tutto il proprio territorio che ricade, a vario titolo, nel perimetro del Parco Nazionale dell'Appennino Lucano Val d'Agri – Lagonegrese.
Tramutola è un comune situato nel cuore della Val d’Agri con economia prevalentemente legata alla zootecnia, all'artigianato ed al terziario. L'interpretazione più accreditata è che il toponimo corrisponda ad una “terra motola”, cioè terra troppo imbevuta di acque (G. Racioppi, 1876).
Il Paese rappresenta un punto di riferimento importante nel turismo ambientale legato alle aree interne della Basilicata, sia per la sua posizione geografica e per i collegamenti abbastanza veloci con la fondovalle dell'Agri, sia per le attività ricreative e di svago che hanno il punto centrale nel moderno e funzionale “Acquapark” in località Caranna, un fiore all'occhiello, immerso nel verde dei boschi che circondano il paese, con piscine, scivoli d'acqua, parco-giochi, campo di calcetto e tennis, situato lungo il suggestivo torrente Caolo, che richiama, in particolar modo nei mesi estivi, molti turisti provenienti dalle regioni limitrofe della Calabria, Campania e Puglia. Sulla struttura sono stati mirati una serie di interventi sia infrastrutturale sia di sistemazione e manutenzione dell'area.
Tramutola, pur seriamente danneggiata dal grande sisma del 1857, conserva ancora un discreto numero di strutture architettoniche di un certo rilievo. Il suo centro storico fatto di vicoli e stradine interessanti da visitare, con l’antico lavatoio all’aperto di Capo l’Acqua, i resti dell’acquedotto in via San Carlo, il Polittico raffigurante Le Tavole della Deposizione e della Resurrezione di Antonio STABILE custodito nella Chiesa della SS. Trinità, il portale della Chiesa del Rosario, i vari palazzi gentilizi che si snodano lungo tutto il centro storico, sono segni importanti di un passato che si intreccia al presente di un centro lanciato verso il futuro.
Tramutola è il Comune della Val d’Agri che più degli altri è stato influenzato dalla cultura campana per essere stato per lungo tempo Feudo dei Benedettini di Cava. Nel corso dei secoli ha dato i natali a personalità di spicco nei diversi rami della cultura e del sapere. Fra i tanti sono da menzionare: Andrea Lombardi (1785-1849) esperto di agricoltura ma soprattutto grande archeologo Intendente nella Calabria Citeriore (Calabria latina); Vincenzo Ferroni (1858-1934) musicista allievo di Massenet e successore del Ponchielli nella cattedra di composizione al Conservatorio “G. Verdi” di Milano; Anselmo Filippo Pecci (1868-1950) coltissimo studioso di latino e greco, nominato a soli 35 anni Vescovo di Tricarico e nel 1907 Arcivescovo di Acerenza e Matera; Neda Naldi, nome d'arte di Italia Volpiana (1913-1993), attrice, scrittrice e sceneggiatrice italiana, nel 1970 sposò l'attore Salvo Randone.
La cultura e le tradizioni del popolo tramutolese sono però permeate soprattutto dallo spirito religioso. L'espressione più lampante è il culto e le manifestazioni popolari ad esso collegate per la Madonna dei Miracoli, la quale, narrano le cronache lucane, il 17 maggio 1853, durante la processione in suo onore si espresse con una serie di miracoli (fiammella sul petto, indietreggiamenti della statua, ecc.) e fece cessare la siccità che assillava da tempo la popolazione. I festeggiamenti in suo onore si replicano l’ultima domenica di maggio con una cerimonia importata dall’estero, in cui lo stesso simulacro viene portato in processione in una barca tappezzata di rose.
Altre tradizioni locali sono legate ai prodotti tipici (castagne, agnello e latticini ancora molto ricercati) e ad alcune specialità culinarie come la Scarcedda (tipica pizza rustica) e i Bucc ‘Nott (dolce a forma di ravioli ripieni di crema di castagne). Tramutola è ancora chiamata dagli abitanti della valle Napulicchio per il tipico modo di vestire di una volta che si richiamava ai modelli campani (vedasi costume femminile con tamburello napoletano).
Viggiano è situata lungo il crinale occidentale dell'Alta Val d'Agri a 1023 metri sul livello del mare. Il paese è fortemente legato alle proprie radici: il Culto Mariano e la doppia processione annuale per la Vergine Maria dal paese al monte sacro e viceversa. Recentemente, è stato avviato l’iter di candidatura dei Cammini di pellegrinaggio al Sacro Monte di Viggiano a Patrimonio dell'Umanità UNESCO. Il comune è compreso all’interno del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano – Val d'agri – Lagonegrese. Sono state valorizzate, attraverso azioni di miglioramento e recupero, molte aree del paesaggio naturalistico del territorio, infatti è stata individuata e riaperta una rete sentieristica, i cosiddetti “tratturi”, resi sicuri e percorribili per gli escursionisti sia a piedi che a cavallo. Località Bocca di Alli può essere considerata la porta della montagna, in quanto crocevia di diversi sentieri, per tale motivo, è stata realizzata una grande opera di ingegneria naturalistica che ha visto la valorizzazione del Cippo funebre di Pactumeia, oltre che la costruzione di un ponte pedonale in legno lamellare per consentire l'attraversamento del Torrente Alli, proprio all’inizio dell'Antico Tratturo della Madonna di Viggiano, ripristinato, riaperto e reso fruibile anche in formato virtuale.
Viggiano è un punto di riferimento per tutti gli amanti della montagna i quali scelgono questa località per le vacanze estive e invernali. È doveroso segnalare il comprensorio sciistico (in funzione per tutta la stagione invernale) "Montagna Grande di Viggiano", a pochissimi chilometri dal centro del paese.
Altro tema di grande rilevanza è quello legato alla tradizione musicale: l'Arpa Viggianese. All'interno del comune, presso la Villa del Marchese (residenza storica ristrutturata di recente che ospita sovente rassegne ed eventi culturali), infatti, è situata la Scuola dell'Arpa popolare Viggianese che conserva e tutela l'identità e la storia di ogni cittadino di Viggiano nel mondo. Tra le cose da vedere a Viggiano annoveriamo il Monumento in onore della Madonna e dei suoi portatori: lo si può ammirare all’ingresso del paese nella grande Piazza San Giovanni XXIII. Si tratta di un’opera unica nel suo genere: tredici figure maschili a dimensioni reali, che accompagnano l'icona della Madonna Nera in pellegrinaggio verso la vetta del Sacro Monte. Sempre in Piazza San Giovanni, troviamo la splendida “Fontana della musica” con giochi di acqua e luci che si muovono a tempo. E ancora più splendide le quattro statue in bronzo - ad altezza naturale e incredibilmente realistiche - raffiguranti fascinose donne a piedi nudi intente a suonare strumenti musicali: il violino, il flauto traverso, il violoncello e naturalmente l'arpa.